
Ninèa Serraglia
Con Moira Mion
Di Moira Mion e Francesco Niccolini
Musiche in scena
Marco Rizzo
Scenografie
Matteo Berton
Luci di scena
Paolo Scortegagna
Il granchio rinasce completamente
intero dentro sé stesso, è un modo per crescere. Tanto il maschio “el granso”,
che la femmina “la masenetta”,
mutano per diventare “moeca”.
Due volte l’anno: a Pasqua e in ottobre.
I maschi mutano in orari fissi,
le femmine – si sa – non hanno orari.
Una storia di barena
Serafina Elfani viene trovata alle porte dell’orfanotrofio il 21 maggio del 1899.
Serafina: nome di terza scelta, conseguenza del sovraffollamento di Marie, Anne e Annemarie. Originale, ma troppo lungo per la vita di tutti i giorni: per i genitori adottivi diventa presto Ninèa, “ancora più piccola di Nina”.
Serraglia invece, deriva dal nome della Valle chiusa presso cui Ninèa fa le sue scorribande: pesca di frodo, come tanti, nel secondo dopoguerra. E’ pescatrice Ninèa, interprete dell’acqua e dei suoi umori, di quel linguaggio sospeso tra l’alchemico e il sacro che i venti, i pesci e le tamerici sanno parlare.
Capelli corvini e pelle olivastra che brunisce in fretta al sole, Ninèa vive un tempo scandito dalle maree: la maternità è l’acqua che cresce, il parto l’acqua che rompe. La coscienza è l’acqua che batte. Il dolore è l’acqua che scava, il perdono è l’acqua che lava. La morte è l’acqua che “spande”.


“La sua vita ci bagna di immensità femminile e nello stesso tempo ci conduce ad osservare il mondo da una pozzanghera. E a sorridere.“