IDA DALSER – Carteggi a senso unico

IDA DALSER
Carteggi a senso unico

Con Moira Mion

Monologo per voce e fisarmonica

Musiche in scena
Moira Mion

Luci in scena
Paolo Scortegagna

“C’inciamperai pure tu
sull’orlo della fossa
e ci cadrai dentro,
maledetto e sputacchiato,
cadrai pure tu nelle mani del capriccio dell’inesorabile destino
e un tarlo ti roderà senza tregua.”

Ida Irene Dalser – 1924
Copia dattiloscritta conservata presso:
“Archivio Corriere della Sera, fondo Albertini”, busta 62, fascicolo 10
Scritto originale conservato presso:
“Archivio di Direzione Ospedale Psichiatrico di Pergine Valsugana”, Serie 12, busta 1924

“Questo spettacolo è di Ida, l’ha scritto nei suoi primi 9 anni di internamento, un poco al giorno.

Forse non ci saremmo piaciute.

Chi lo sa?

O forse invece si.

Mi immagino come sarei potuta essere io Moira, se fossi nata nel 1880, anno di nascita di Ida; mi chiedo se saremmo mai potute diventare amiche o anche solo provare quella giusta stima reciproca per scrivere un testo a quattro mani, insieme. Già, perché di questo si tratta: non posso dire in giro che questo spettacolo l’ho scritto io.

No, non posso.

Il mio contributo è davvero minimo, relegato a una breve descrizione della vita manicomiale in epoca fascista. E anche questo pezzetto non è davvero solo mio: ha annusato diversi libri di esperti sull’argomento e sbirciato dentro le stanze della follia, prima di cominciare a scriversi da sé.

Questo spettacolo è di Ida, l’ha scritto nei suoi primi 9 anni di internamento, un poco al giorno. Credo che sia stato il suo personale modo di curarsi. Bada bene, non certo la pazzia aveva da curare, Ida, quanto piuttosto l’eterno passare dei giorni da reclusa, lo squarcio provocato dal vuoto degli affetti, l’inquietudine che montava in rabbia, l’ossessione per i mazzi di chiavi: il potere, in manicomio, risiede nelle serrature.

Una volta è riuscita a scappare.
Non dal San Clemente, l’isola-fortezza di Venezia, ma da Pergine, in Trentino. Ha staccato la grata della finestra, ora dopo ora raspando il muro con un sasso a punta, e si è calata in basso con una corda fatta di lenzuola: il cliché dell’evasione.
Tornata a casa con la sola speranza di vedere suo figlio, l’indomani è stata riportata all’ospedale psichiatrico dentro una camicia di contenzione: il cliché della tracotanza.

L’odore di vita spinge Ida a scrivere su ogni foglio, su ogni cornice di giornale, su ogni superficie abbastanza porosa da assorbire l’inchiostro.
Scrive nella speranza che qualcuno riceva le sue lettere, che qualcuno raccolga il bigliettino d’aiuto che ha lasciato cadere in strada dal finestrone, scrive pregando un’anima buona a crederle.
Lettere rimaste tutte senza risposta, alcune trafugate, nascoste, altre rimaste silenti negli archivi del Corriere della Sera per decenni.

Carteggi a senso unico per l’appunto.

Ho preso questi scritti sparsi e li ho ricomposti cercando di dare loro una cadenza armonica, narrativa, in ordine temporale principalmente. Ecco, questo ho fatto io. Il resto è di Ida.

Photo courtesy Elena Marigo

“Di Ida Dalser, la prima sedicente moglie di Benito Mussolini, esistono solo la dichiarazione di nascita e le sue lettere. I registri parrocchiali a suo nome risultano manomessi. Le cartelle cliniche sono andate perdute, così hanno detto.

Il suo corpo – e quello di suo figlio e figlio riconosciuto del duce – gettato in una fossa comune.

La sua storia – e quella di suo figlio e figlio riconosciuto del duce – quasi sconosciuta.

Ad oggi, in Italia, Ida Dalser e Benito Albino Mussolini rappresentano un argomento su cui, per certi versi, continua ad aleggiare un assordante silenzio, come allora.
La verità è che le loro non-vite mostrano una pagina di vergogna del nostro Paese, condita dagli abusi di potere di un regime che li ha voluti cancellare dalla biografia del suo capitano e declassare a romanzo d’appendice.”